Giovani in balia del vento come marinai senza capitano

Scuola e famiglia come navi

Autore: Indira Marcella Valdameri

21/06/2023

Senza entrare in merito a fatti di cronaca agghiaccianti dove protagoniste sono azioni estreme di giovani decisamente allo sbando, voglio farti una semplice domanda: immaginando famiglia e scuola come navi in cui i marinai imparano l’arte di navigare nella vita, chi è il capitano?

 

Il capitano della nave sei tu: genitore o insegnante, tu dai la direzione, tu sei responsabile della tua nave!

 

“Quale film ti ha ispirato di più e perché?” è una domanda che in seduta di Counseling o di Coaching prima o poi pongo ai miei clienti, specialmente se sono giovani. L’altro giorno uno di loro mi ha stupita rispondendo: “l’Attimo Fuggente”.

Mi ha stupita non per i suoi contenuti che sono indubbiamente interessanti e offrono molti spunti di riflessione, ma perché è un film datato e ancor di più per le profonde argomentazioni del giovane che qui, col suo consenso, riassumo:

… alcune parti non mi sono piaciute molto ma altre tantissimo, soprattutto l’ultima scena in cui gli studenti salgono sui banchi e lo chiamano capitano, mio capitano… Per me un insegnante o un genitore dovrebbe essere proprio come il capitano di una nave: attento, solido e giusto, uno che ha il comando perché sa cosa c’è da fare e dove bisogna andare ma che insegna e lascia spazio ai marinai per imparare e fare. Uno che si prende la responsabilità della rotta ma sa anche cambiarla se necessario. Uno che non si nasconde dietro a “si fa così” ma che ti spiega perché si fa così. Uno che se sbagli non ti giudica o ti dà del cretino ma ti aiuta a capire dove e cosa hai sbagliato e ti lascia riprovare, ti da un’altra possibilità. Uno che se è in difficoltà non manda te dallo psicologo ma ci va lui per primo. Uno che si fa delle domande e che ti ascolta, ti dedica del tempo, non uno che si sente vittima e ha paura della sua ombra. Uno che s’impegna e cerchi di capirti invece di incazzarsi se non sei come vuole lui. Uno che ti accompagna, che ti aiuti a capire cosa ti sta succedendo, non che ti dica “hai molte doti ma non t’impegni”… io, le mie doti, non le conosco. Uno che sa farsi amare perché è questo che vorrei: amare i miei genitori e, perché no, amare i miei insegnanti… ma non è così. Non li amo. A volte vorrei che sparissero e mi lasciassero in pace….

Wow, un’analisi limpida e spietata! Non mi stancherò mai di pensare e dire quanto ammiro i giovani e quanto possiamo imparare tutti da loro se solo gli dessimo il giusto spazio e sapessimo veramente ascoltarli.

Ma torniamo a noi:

 

il capitano di una nave

 

è così che questo giovane ha definito il ruolo del genitore e dell’insegnante ed io, che amo andare per mare, sono pienamente d’accordo con lui.

Genitori e insegnanti, con sfaccettature ovviamente diverse perché diversi sono il ruolo e il compito che svolgono, sono proprio come capitani di una nave i cui marinai, ancora inesperti, imparano l’arte di navigare:

apprendono regole facendole proprie e accrescono le proprie capacità intellettive e organizzative per diventare un giorno capitani della propria imbarcazione che è la vita.

Su questa nave, il marinaio impara molte cose diventando lui stesso utile e responsabile del viaggio e il capitano armonizza la vita sulla barca stabilendo momenti di apprendimento, di sperimentazione, di svago e festeggiamento e, infine, di riposo che è importante come tutto il resto.

Durante il viaggio il capitano deve essere coraggioso nel prendere decisioni che spettano a lui soltanto e contemporaneamente deve essere capace di infondere all’equipaggio forza e determinazione nei momenti di difficoltà. Deve essere accogliente, aperto al dialogo instaurando legami profondi che alimentano nei marinai curiosità e desiderio di esplorare nuovi mari ma deve essere chiaro che il capitano è lui non chiedendo ai marinai di dargli sicurezza e confermare la sua autorità, o di indicare la rotta e stabilire quale vele usare:

il capitano ha fiducia nelle proprie capacità e le attua diventando il modello d’integrità da seguire e a cui fare affidamento.

Troppi genitori e insegnanti vedo in balia delle onde che, è vero, di questi tempi sono difficili da solcare ma non impossibili se preparati e… innamorati del proprio compito che, fino a prova contraria, hanno scelto e quindi meritevole di tutta l’attenzione e l’impegno necessario.

Impegno che implica l’essere adulto cioè l’aver già acquisito molteplici competenze e capacità.

Ciononostante non significa che sia impermeabile all’errore o non abbia più nulla da imparare, anzi! Anche l’adulto, genitore o insegnante che sia, non smette mai di crescere nel suo essere perché ogni incontro, e particolarmente quello con un figlio o con uno studente, è un’opportunità per imparare qualcosa di nuovo su di sé e sul proprio rapportarsi al mondo; la differenza fra lui e un giovane è che ha già fatto parecchie esperienze ma può ancora migliorare e sa che ci vuole tempo e costanza per imparare e raffinare le proprie doti.

Il suo compito è soprattutto quello di saper osservare fiducioso

e, dopo aver impartito la lezione del momento, intervenire il meno possibile affinché il più piccolo possa essere curioso e intraprendente per poter sperimentare e trovare le proprie soluzioni ed esplorare nuovi mari.

Ma oltre al tempo, che è necessario per la sperimentazione, l’elaborazione e la possibile soluzione, c’è una qualità che più di tutte deve espandere chi vuol essere genitore o insegnante: essere se stesso, conoscersi ed espandersi sempre più. Deve cioè avere il proprio posto nel mondo, indossare i propri panni e non quelli di altri accettando che ci sono altre flotte con altri capitani che governano le navi diversamente da lui. Deve quindi essere sicuro della propria rotta e di quale vele necessita la sua navigazione… in altre parole:

essere consapevolmente e intenzionalmente capitano della sua nave,

proprio come diceva il nostro giovane all’inizio. Se sbaglia, o se sbagliano i suoi marinai, si assume le proprie responsabilità e non incolpa gli altri dimenticandosi che è lui a guidare quella nave, semmai affronta il giovane marinaio e, insieme a lui, cerca di capire quale possa essere il problema aggiustando un po’ le vele (modificando quindi comportamenti o aspettative) o invitando il marinaio ad analizzare il proprio operato e a trovare da sé nuove soluzioni e nuovi obiettivi, concreti e realizzabili.

In questo modo ognuno è responsabile delle proprie azioni, impara qualcosa di nuovo e pone le basi per la propria evoluzione che, ripeto, abbraccia tutti e non solo i giovani marinai.

 

Un esempio:

 

C’è una giovane madre di due splendide bambine che vive di fianco a me; essendo la via molto stretta, le voci si amplificano e spesso entrano nella mia casa. Tempo fa ho sentito un litigio con la più grande (avrà 5 anni credo). Avrei voluto intervenire ma, sai com’è, “non intervenire se non richiesto”, così ho taciuto. Ciononostante non ho potuto non sentire quel braccio di ferro, per la madre esasperante e per la bimba doloroso.

“Perché non me lo dici?” chiede la piccola a squarciagola mentre il suo tono stridulo e lagnoso suggerisce che è da prima che lo sta chiedendo. “Non c’è nulla da dire… non è successo nulla”, risponde la mamma. “Dimmelo, dimmelo, lo voglio sapere”. “Non c’è nulla da sapere”. “Voglio sapere… dimmelo!”. “Te l’ho già detto infinite volte: non c’è nulla da sapere”.

Urla, pianti e risposte della madre sempre più evasive. Mi affaccio alla finestra nel momento in cui la bimba si butta a terra.

“Sei cattiva. Dimmelo, lo so che hai un segreto!”, urla di nuovo aggiungendo quella parolina: “segreto” fra le lacrime e la polvere. “Nessun segreto… sono cose da grandi!”. “Visto? Visto che hai un segreto?”. “Se è un segreto è un segreto e non te lo dico”. “Ecco, lo sapevo che hai un segreto” insiste: “hai un segreto e non me lo vuoi dire”.

E via via per altri dieci minuti di tira e molla e di voci che si alzano sempre più, soprattutto quella della madre che usa termini di castigo e di esasperazione da far tremare anche me per lo sdegno. Alla fine, esausta, svela il segreto. Per un attimo tutto si ferma. Silenzio.

“Ecco, lo sapevo! Sei cattiva”, dice infine la piccola mentre il pianto si fa sempre più profondo e doloroso. “Su, dai, non piangere… adesso te l’ho detto… smettila dai… vieni qui che ti do un bacino”.  “No! Sei cattiva! Sei cattiva…”

e ora piange come mai l’ho sentita prima. C’è voluto molto perché la madre la acquietasse… le ha promesso anche un regalino. Fine della storia.

Ora, senza giudicare la madre che aveva tutte le ragioni per non svelare quel segreto, mi e ti chiedo: perché alla fine l’ha svelato? Se fosse stato svelabile l’avrebbe fatto ormai da tempo, invece… Invece, ha mollato le cime, non ha tenuto il timone… il capitano è sceso dalla nave lasciando la piccola marinaia in balìa dei venti. Stremata dalla sua stessa incapacità di governare la sua barca, è scesa a compromessi, anzi di più ancora: ha ceduto al ricatto emozionale che la bimba, come tutti d’altra parte nella stessa situazione, sa benissimo usare colpendo dove più fa male.

Morale della favola: la madre ha fallito fin dall’inizio del litigio dando corda al piagnisteo invece di spiegare coi giusti toni che, sì, c’era un segreto e tale doveva restare; la bimba ha invece dovuto processare diverse cose fra cui:

  • il tradimento perché il segreto in realtà c’era,
  • il potersi fidare del proprio intuito finché la madre non ha ammesso che era vero,
  • il dolore per il mancato riconoscimento e amore di cui aveva bisogno,
  • la falsa ricompensa finale che, sostanzialmente non le dà soddisfazione e non le insegna nulla,

anzi, la legittima e la legittimerà ancora a usare quel ricatto per ottenere ciò che vuole … in fondo basta poco per essere lei capitana della nave in circostanze come queste dove il grande… non fa il grande! Peccato che ha solo 5 anni ed è ancora una piccola marinaia, così piccola da non poter vedere l’orizzonte di fronte a sé.

 

Un altro esempio:

 

C’è una mia giovane cliente che è insegnante di latino, ama tantissimo la sua materia ed è felicissima di aver avuto il posto d’insegnante al liceo subito dopo la laurea. Prepara accuratamente le sue lezioni e non vede l’ora di insegnare ciò che ama e che l’affascina ma da qualche tempo è sfiduciata e sta già meditando di cambiare professione.

Troppo difficile. Mi sento invisibile. Entro in classe e nessuno ci fa caso… continuano tutti a fare ciò che stavano facendo… a volte aspetto per 10 minuti per vedere se qualcuno si accorge di me, ma… niente ed è devastante. Quando ero al liceo davamo del lei ai professori, ci alzavamo quasi per salutarli e ora, ora sei invisibile. Non parliamo poi dei telefonini… degli abiti succinti delle ragazze manco fossimo in discoteca… del chiasso e i fischi dei maschi… dei libri che non hanno mai… dei compiti scopiazzati, e male persino. L’altro giorno ho provato a interrogare qualcuno… un disastro, e più mi avvilivo, più mi sentivo un’idiota e più loro ridevano dei compagni e forse anche di me. Non ne potevo più. Avevo due ore con loro così, lì per lì, ho fatto un compito in classe a tradimento distribuendo un testo che avrei voluto prima vedere insieme a loro, ma ero così esasperata che ho voluto punirli. Risultato? Zero per tutti o annullare il compito. Ci ho pensato per giorni e giorni poi l’ho annullato… non potevo fare altro. Siamo alla fine dell’anno e uno zero a tutti sarebbe stato recupero a settembre per tutta la classe. Uno sbattimento totale! Il risultato? I più hanno fatto spallucce, manco fosse ovvio che l’annullassi visto che non era stato programmato. Mi sento ostaggio, altro che professoressa! Forse dovrei fare come loro, sbattermene di tutto e di tutti. Dare voti politici come mio padre racconta si faceva negli anni 70. Un bel sei a tutti e chi s’è visto s’è visto! Tanto, poi, non importa a nessuno il latino”.

Che ci dice questa seconda storia?

Ci sarebbe molto da esplorare riguardo l’atteggiamento degli studenti, ma riguardo la mia giovane cliente (che sia chiaro, mi ha dato il permesso di usare la sua esperienza come esempio) cosa possiamo dire? Cosa le succede?

Seppur abbia ereditato quegli studenti a metà dell’anno e quindi non ha la responsabilità della loro apparente involuzione, il tempo che passa con loro è la sua nave.

È capitana di quella nave? Sa coinvolgere, affascinare, catturare l’attenzione? È stata in grado di stabilire giuste regole insieme a loro coinvolgendoli e rendendoli partecipi o li ha lasciati allo sbaraglio diventando vittima della situazione, tanto da non saper più come si cavalcano le onde e che vele bisogna usare?

Conosce la sua forza, esercita la sua autorevolezza, prende le giuste decisioni o incatena i marinai disubbidienti all’albero maestro?

Affrontare una classe di adolescenti annoiati e demotivati non è per nulla facile e a lei va tutto il nostro sostegno ma… c’è un ma:

cosa può imparare da tutto questo? Qual’è la risorsa sotto il fallimento?

Sì, hai capito bene: risorsa! Sotto a ogni fallimento, con il giusto atteggiamento, la giusta intenzione e la giusta guida, ci si può porre alcune domande e trovare le risposte.

 

Condividi le tue qua sotto o scrivi le tue domande se ne hai: ti risponderò nel più breve tempo possibile.

 

Vuoi approfondire? Leggi anche questi articoli: 8 regole per far rispettare le regole in famiglia e a scuola e Intelligenza emotiva.

Se invece senti che è giunto il momento per te di fare un percorso di potenziamento, che tu sia genitore, insegnante o educatore, visita queste pagine e trova il percorso che fa per te: Essere genitore o fare il genitore? Insegnare o Educare?

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